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Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. II, 1918 – BEIC 1759042.djvu/284

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medesimi: — «Chi è costui, che senza morte», cioè essendo ancor vivo, «Va per lo regno della morta gente?», — cioè per lo ’nferno, il qual veramente si può dir «regno della morta gente», in quanto quegli, che vi sono, son morti della morte temporale, e morti nella morte eternale. «E ’1 savio mio maestro fece segno», a questi demòni, «Di voler lor parlar segretamente». Per lo qual segno essi «Allor chiusero un poco il gran disdegno». Non dice che il ponesser giuso, ma alquanto, col non parlare cosí stizzosamente, il ricopersono. E qui «disdegno» si prende in mala parte, pereioché negli spiriti maladetti non può essere, né è, alcuna cosa che a virtú aspetti. «E disser: — Vien’ tu solo», qua a noi, «e quei sen vada», cioè Dante, «Che si ardito», dietro a te, «entrò per questo regno. Sol si ritorni per la folle strada», per la quale è venuto dietro a te. E chiamala «folle», non perché la strada sia folle, pereioché non è in potenza la strada da potere essere o folle o savia, ma a dimostrare esser folli coloro li quali si adoperano, che per essa convenga loro scendere alla dannazione eterna. «Pruovi, se sa», tornarsene indietro solo; «ché tu qui», con noi, «rimarrai, Che gli hai scorta», insino a questo luogo, «si buia contrada», — cioè si oscura. E vuole in queste parole l’autore quello dimostrare, che negli altri cerchi di sopra ha dimostrato, cioè che per alcun de’ ministri infernali sempre all’entrar del cerchio sia spaventato: e cosi qui, dovendo del quinto cerchio passar nel sesto, il quale è dentro della cittá di Dite, introduce questi demòni a doverlo spaventare, accioché del suo buon proponimento il rimovessero, e impedissero a dover conoscere quello che si dee fuggire, per non dovere, perduto, in inferno discendere. «Pensa, lettor». Qui comincia la seconda particella di questa parte principale, nella quale l’autore mostra come si sconfortasse. «Pensa, lettor», che queste cose leggerai, «se io mi sconfortai, Nel suon delle parole maladette», cioè dette da quegli spiriti maladetti. E soggiugne la cagione per la quale esso si sconfortò, dicendo: «Ch’io non credetti ritornarci mai», cioè in questa vita, vedendomi tórre colui che infin quivi