Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. II, 1918 – BEIC 1759042.djvu/41

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non l’avrebbe scritto, né è verisimile il dottore farsi beffe de’suoi uditori; conciosiacosaché nell’ingegno de’buoni uditori consista gran parte dell’onor del dottore; ma senza alcun dubbio puose l’autore quella parola «sorrise» avvedutamente, e la ragione può esser questa. È il riso solamente all’umana spezie conceduto: alcun altro animale non è che rida. E questo mostra avere la natura voluto, accioché l’uomo, non solamente parlando, ma ancora per quello mostri l’intrinsica qualitá del cuore, la letizia del quale prestamente, molto piú che per le parole, si dimostra per lo riso. È il vero che questo riso non in una medesima maniera l’usano gli stolti che fanno i savi; percioché i poco avveduti uomini fanno le piú delle volte un riso grasso e sonoro, il quale rende la faccia deforme e fa lagrimar gli occhi e ampliar la gola e doler gli emuntori del cerebro e le parti interiori del corpo vicine al polmone; e questo non è laudevole. Ma i savi non ridono a questo modo, anzi, quando odono o veggono cosa che piaccia loro, sorridono, e di questo scintilla per gli occhi una letizia piacevole, la quale rende la faccia piú bella assai che non è senza quello. Per che assai ben comprender si puote, l’autore aver detto Virgilio, come savio, aver sorriso di quello che a grado gli fu. Sono nondimeno alcuni che par talvolta che sorridano quando alcuna cosa scherniscono, o talvolta, sdegnando, si turbano. Questo non è da dir «sorridere», anzi è «ghignare»; e procede non da letizia, ma da malizia d’animo, per la qual ci sforziamo di volere frodolentemente mostrare che ci piaccia quello che ci dispiace. «E piú d’onore ancora assai mi fenno», cioè lèdono, non essendo contenti solamente ad averlo salutato. E l’onor che gli fecero fu questo: «Che e’mi fecer della loro schiera», cioè mi dichiariron fra loro esser poeta; e questo propriamente aspetta a coloro, li quali conoscono e sanno che cosa sia poesia, si come uomini che in quella sono ammaestrati: e questo fu per certo solenne onore. «Si ch’io fui sesto tra cotanto senno», cioè tra’cinque altri cosí notabili poeti, io mi trovai essere stato sesto in numero; in sofficienza non dice, percioché