Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/158

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Marte con guerre e con battaglie, le quali aspettano all’«arte sua», cioè al suo esercizio, abbia sempre poi tenuta questa cittá in tribulazione e in mala ventura. [La qual cosa non è solamente sciocchezza, ma ancora eresia a credere che alcuna costellazion possa nelle menti degli uomini porre alcuna necessitá; né sarebbe della giustizia di Dio che alcuno, lasciando un malvagio consiglio e seguendone un buono, dovesse per questo sempre essere in fatica e in noia; ma si dee piú tosto credere che di molti pericoli n’abbia la divina misericordia tratti, ne’ quali noi saremmo venuti, se questa buona e santa operazione non fosse stata fatta da’ nostri passati. Poi séguita, continuandosi a quel che cominciato ha a dire di questa iniqua opinione, dicendo:] «E se non fosse che ’n sul passo d’Arno», cioè in sul pilastro sopra detto, «Rimane ancor di lui», cioè di Marte, «alcuna vista», alcuna dimostrazione: e ben dice «alcuna», percioché [come di sopra dissi,] questa statua [era diminuita dalla cintola in su, senza che essa tutta] era per Tacque e per li freddi e per li caldi molto rósa per tutto, tanto che quasi, oltre al grosso de’ membri, né dell’uomo né del cavallo alcuna cosa si discernea; e per quello se ne potesse comprendere, ella fu piccola cosa, per rispetto alla grandezza d’uno uomo a cavallo, e di rozzo e grosso maestro; «Que’cittadin che poi la rifondárno», Firenze, «Sovra ’l cener che d’Attila rimase, Avrebber fatto lavorare indarno», cioè invano.

Vuole adunque questo spirito mostrare quella pietra essere stata di tanta potenza che, per Fesserie quella particella d’onor fatto, cioè d’esser riservata e posta sopra quel pilastro, che ella abbia conservata in essere la cittá nostra, poi che ella fu reedificata, la quale altramenti, da che che caso si fosse avvenuto, sarebbe stata disfatta e disolata. [Ma, come davanti è detto, a creder questo è grandissima sciocchezza e peccato, percioché a Domeneddio appartiene la guardia delle cittá, e non alle pietre intagliate, o ad alcun pianeto o stella: e, se Domeneddio si ritrarrá dalla guardia d’alcuna, tutto il cielo, né quanti pianeti sono o stelle, non la potranno conservare un’ora.] [Ma, percioché dice: «Sovra ’l cener che d’Attila rimase»,