Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/159

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è da sapere che, essendo Attila, re de’ goti, passato in Italia, in esterminio e ultima distruzione del nome romano, ed avendo molte cittá in Lombardia e in Romagna giá guaste e disfatte, secondo che piace a Giovanni Villani, esso passò in Toscana, dove similmente piú ne disfece, e tra l’altre Firenze, la quale dice che occupò in questa maniera, che, avendola per molto tempo assediata, e non potendola per forza prendere, volse l’ingegno agl’inganni, e con molte e false promessioni prese gli animi de’ cittadini, li quali, troppo creduli, sperando quello dovere loro essere osservato che era promesso, il ricevettero dentro alla cittá, e per sua stanza gli assegnarono il Capitolio, nel quale esso dopo alcuno spazio di tempo fece convocare un di i maggiori cittadini della terra, e quegli facendo passare d’una camera in un’altra, ad uno ad uno tutti gli fece ammazzare, e i corpi loro gittare in una gora, la quale dal fiume d’Arno dirivata, passava sotto il Capitolio. Né di questo inganno alcuna cosa si sentia per la cittá, né per avventura sarebbe sentita, se l’acqua della gora, al rimettere in Arno, non si fosse veduta vermiglia del sangue degli uccisi: per che giá facendone romore i cittadini, e Attila sentendolo, mandata fuori del Capitolio certa quantitá di sua gente armata, comandò loro che ad alcuno grande né piccolo, maschio né femmina perdonassono; e cosi, quantunque molti chi qua e chi lá ne fuggissono, fu il rimanente de’ fiorentini crudelmente ucciso, e tra gli altri il vescovo di Firenze, chiamato Maurizio, uomo di santissima vita. E, fatta questa occisione, comandò che la cittá fosse tutta disfatta e arsa, e cosi fu ogni cosa convertita in cenere e in favilla. E, secondo dice lo scrittore di questa istoria, questo fu fatto il di ventotto di giugno, l’anno di Cristo quattrocentocinquanta, e, poi che ella era stata edificata, cinquecentoventi anni.] [Poi piú volte tentarono i discendenti de’ cittadini fuggiti di doverla reedificare; ed essendo le lor forze piccole, sempre furono impediti da’ fiesolani e da certi nobili uomini d’attorno, li quali estimavano la reedificazion di quella doversi in lor danno convertire, si come poi avvenne. Ma pure, perseverando essi