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redazionale del Bucc. c., tracciato nelle pagine di R, corrisponde pertanto, benché con durata non ininterrotta, all’ultimo novennio della vita del poeta.
Tre fasi noi possiamo riconoscere in cosí fatto lavoro: l’ultima, e definitiva, è rappresentata dalla lezione attuale di R; la prima si sará avuta al momento in cui fu compiuta la trascrizione delle sedici egloghe nel ms., ma innanzi (ben inteso) che incominciasse il paziente lavorio del rifacimento; la seconda, infine, trova da collocarsi ad un certo punto del rifacimento medesimo e riflette il giudizio che in quel dato momento diede dell’opera sua l’autore e revisore, giudicandola ormai matura per la pubblicazione. A determinare la data e i limiti di questa fase intermedia ci giova lo studio del ms. Laurenziano XXXIX 26 (L), elegante codice membranaceo di mano dell’ultimo Trecento, contenente le dieci egloghe di Vergilio, le dodici del Petrarca, le sedici boccaccesche (cc. 54 r — 104 v), le due di Dante, le due di Giovanni del Virgilio e le due di Checco di Meletto Rossi1. L’importanza di L per la nostra indagine sta in ciò, che esso offre numerose lezioni le quali non coincidono con quelle oggi date da R nei passi corrispondenti, ma riscontrano con altre che una volta furono bensí fermate in R e che poi nella revisione definitiva andarono eliminate. Ovvio, dunque, supporre con lo Hecker2 che L riproduca, attraverso uno o piú intermediari, una copia tratta da R in un
- ↑ Cfr. Bandini, Catal. codicum latin. Biblioth. Med. Laurentianae, II, coll. 312-4. Qui il ms. è assegnato al principio del secolo XV, ed al medesimo secolo, senza meglio precisare, esso è dato dallo Hecker; ma senza dubbio, cosí, gli furono tolti troppi anni. La scrittura di L, tutto ben considerato, si può riportare al penultimo o all’ultimo decennio del Trecento; è notevole la sua somiglianza generica con quella di R. Esemplò il ms. un frate Iacopo da Volterra (cfr. c. 116 v), di cui sarebbe bene poter trovare qualche notizia.
- ↑ Op. cit., p. 63.
aggiunga che il Bocc. allude nell’egloga alla sua dimora napoletana del 1362-’63 con la determinazione cronologica «dum fortior etas»: il che fa pensare logicamente che fossero passati almeno quattro in cinque anni. Lo Hecker (p. 69, n. 1) si fece scrupolo tuttavia di portare la composizione oltre il febbraio del 1367, per un accenno al Bucc. c. che si legge in un passo della Genologia deorum gentilium (XV, xiii) scritto prima di quel termine; stimò dunque che l’anno 1366 abbia per sé le maggiori probabilitá, in ciò seguito dall’Hauvette (Boccace, p. 390, n. 4, e cfr. anche p. 425, alla fine della lunga n. 2 a p. 423). Eppure, come lo stesso biografo francese giustamente osservò, la dizione del passo in causa («preter Buccolicum carmen, quod ut sibi intitularem petiit Donatus Appenninigena») non obbligava affatto a pensare che l’egloga finale fosse giá stata composta.