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Pagina:Boccaccio, Giovanni – Opere latine minori, 1924 – BEIC 1767789.djvu/296

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290 nota


Passiamo adesso senz’altro ai carmi autentici.

I. — È conservato in trascrizione autografa nel ricordato ms. ZL (c. 56 r); ivi ai versi precede una didascalia intesa a dare notizia dell’autore e del destinatario, e che fu presumibilmente di questo tenore: [Iohannes de Certaldo Che]cco de Milecto, ma le prime tre parole e meta della quarta furono poi diligentemente abrase, e della quarta stessa le ultime lettere si scorgono appena come un’ombra1. Il carme fu stampato con qualche sbaglio dall’Hortis2. Nell’originale si osservano le solite manifestazioni dell’incontentabilitá rifacitrice del poeta: le parole raucum 16 e deos iam cantat vertice sistro 28 appaiono rescritte su rasura. Quanto alla mia stampa, riproduce scrupolosamente il ms. (per pochi lievissimi ritocchi ortografici, cfr. qui oltre, p. 293, n. 6).

Al carme segue in ZL la risposta dell’umanista forlivese, che fu anche data in luce dall’Hortis3, e che io stimo opportuno



    prove (Franc. da Barberino et la littérature provençale en Italie an moy. âge, Paris, 1883, p. 35); di fresco il Wilkins comprese l’epitafio tra le opere d’incerta autenticitá (art. cit., p. 120).

  1. Che la ricostruzione sia esatta, mostra la didascalia del carme responsivo, soggiunto nello stesso ms. (Respondet Checcus Iohanni: qui l’ultimo nome fu raschiato superficialmente ed è ancora leggibile). Secondo l’Hortis le abrasioni non risalgono al Bocc. ma ad un possessore cinquecentesco del volume, che volle sopprimere il nome di uno scrittore messo all’indice (p. 260, n. 2). Sulla rasura del carme boccaccesco una mano piú moderna (a me sembra del secolo XVII) sovrappose, forse seguendo i resti della scrittura precedente che ancora era visibile, Iohes de certaldo. Dal fatto che il Bandini (Catal. cit, II, col. 23) ascrisse il carme a Giovanni del Virgilio l’Hauvette (Notes cit. qui appresso, p. 107) volle inferire che queste parole non ci fossero al tempo del bibliotecario fiorentino, opinione che fu accolta dal Biagi ma che non persuade: il Bandini poté infatti non tenerne conto anche avendole sott’occhio, dato l’evidente carattere additizio di quell’integrazione. Per suo conto l’Hortis si limitò a riprodurre unicamente l’ultima parola della didascalia, e la lesse male (Mileto). Per la bibliografia di ZL va ricordato qui che l’Hauvette ne diede sin dal 1894 lo studio piú esauriente (Notes sur des mss. autographes de Boccace, nei Mélanges d’archéol. et d’histoire della Scuola Francese di Roma, XIV, p. 87 sgg.), e che le cc. 45 v-77 r, ossia la parte autografa del prezioso ms., furono di fresco riprodotte in fototipia per cura e con una prefazione di G. Biagi (Lo Zibaldone Boccaccesco Mediceo Laurenziano Plut. XXIX-8, Firenze, 1915).
  2. Pp. 351-2. Errori di lettura: quos (per quoque!) 21, quicunque (per quicquam!) 39, et (per eu) 40; per ciò ch’è dell’interpunzione, il punto fermo dopo arma 19 e capelle 25, e la virgola dopo stabant 26 e sistro 28 rivelano l’incomprensione dell’editore. Di valentis 20 la s finale è quasi illeggibile nel ms., e però l’Hortis stampò valenti.
  3. Pp. 352-3. Sfuggi all’editore che il carme del Rossi era stato stampato sin