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Pagina:Boccaccio-Caccia e Rime-(1914).djvu/149

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Rime 117

     O che l’armata man ver noi s’adiri
     Di Giove fulminando, o qual s’amiri
     Di tenebre lunare el sol traficto1.
Non è alcun che si cuopra a le saette
     Avelenate che ’l bel viver fura2,10
     Sì che l’uman valor fra i bruti mette;
     Et radi son, che con la mente pura
     Conosca il suo factore3 o sue vendette:
     Ma lui non val parlar con lingua scura4.
Le stelle erranti observan lor viaggio,15
     Né noi constringe a seguitar suo raggio5.


RISPOSTA DEL PETRARCA6.


Perché7 l’eterno moto sopradicto8
     Ciascun pianeto in sé rapido tiri,


  1. Ecco il senso dei vv. 5-8: «Il cielo si mostra sul punto di attenere quell’antica sentenza, o che Giove infierisca con le sue folgori contro di noi, o che il sole si scorga come trafitto di tenebre lunari (gli eclissi).»
  2. Si allude alla terribile epidemia che, nel tempo in cui fu scritto il sonetto, avanzava minacciosa dall’oriente verso l’Europa, ove infierì negli anni 1348 e 1349.
  3. Dio.
  4. «Con oscuri ammonimenti.»
  5. «Le stelle non ci costringono a seguire i loro influssi», che è a quanto dire: «le nostre colpe non sono imputabili ad influsso di stelle maligne, ma al nostro libero arbitrio.»
  6. Aveva abbandonato definitivamente la Provenza per l’Italia nel novembre del 1347. Il 25 gennaio 1348 era a Verona, quando gran parte d’Italia e di Germania fu scossa da un violento terremoto; poi andò a Parma, a Ferrara, a Padova nei mesi seguenti sino al maggio.
  7. «Per quanto.»
  8. Quello di cui parla il Rossi nei vv. 1-2 del suo sonetto, ossia la legge che regola il moto dei corpi celesti.