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Rime 159

     Né avverrà, perch’ei1 sappia di nuoto,
     Che non rimanga lì doglioso et rotto.
Et io, di parte excelsa riguardando,
     Ridendo, in parte piglierò ristoro10
     Del ricevuto scorno et dell’inganno;
     Et tal fiata, a llui rimproverando
     L’avaro seno2 et il beffato alloro,
     Gli crescerò et la doglia et l’affanno3.


CXXVI.


Or sei salito, caro signor mio4,
     Nel regno, al qual salire anchor aspetta
     Ogn’anima da dio a quell’electa,
     Nel suo partir di questo mondo rio;
     Or se’ colà, dove spesso il desio5
     Ti tirò già per veder Lauretta;
     Or sei dove la mia bella Fiammetta
     Siede con lei nel conspecto di dio.


  1. Cfr. p. 152, n. 3.
  2. «Avidità:» è espressione dantesca (Inf., XVIII, 63).
  3. Ritengo che questo sonetto (non missivo, ma certo da considerar legato ai tre precedenti in quanto esprime la soddisfazione del poeta nel pregustare l’imbarazzo in cui si troverà l’ingrato vulgo per l’interrotto commento della Commedia) sia posteriore di qualche settimana al tempo in cui la Lettura fu sospesa, e però del principio del 1374.
  4. Il Petrarca, morto la notte dal 18 al 19 luglio 1374. Il sonetto, che richiama assai da vicino uno dell’estinto amico e maestro (cfr. la mia nota 1 a p. 139), sarà stato dettato poco dopo l’amara perdita, apparendo scritto sotto un’impressione di dolore ancor vivace.