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164 Giovanni Boccacci

     Sì ch’io vedea più della gamba schiuso,
     O quali avria veduto allora farsi,
     Chi rimirato avesse dov’io stava,
     Gli occhi mia vaghi di mirar più suso!


O dì felice, o ciel chiaro sereno,
     O prati, o arbuscegli, o dolci amori,
     O angeliche voci, o lieti chori,
     De’ qual i’ vidi un bel giardin ripieno;
     O celeste armonia, la qual seguieno5
     Non so s’i’ dica angelichi splendori
     O vergini terrene, e tra’ be’ fiori
     E le piante danzando si movieno1!
Chi con istile ornato e con preciso
     Discrivere ne potria le vedute10
     Belleze, omai2 non viste fra’ mortali?
     Non io, ch’esser credendo in paradiso
     Muover sentì [una] secreta virtute,
     Che ’l cor m’aprì con più di mille strali3.


D’oro crespi capelli e anodati
     Tra sé da verde frondi e bianchi fiori4,
     Un angelico viso e due splendori


  1. La serenità del cielo, la giocondità del giardino, i dolci canti, la danza, le belle creature che si muovono tra l’erbe e i fiori: è una scena da paradiso terrestre, che fa correre la mente agli aristocratici diletti della miglior società napoletana, così vivamente descritti nelle pagine più inspirate delle opere giovanili del nostro.
  2. «Mai prima d’ora.»
  3. Cfr. V, 14. Con i sonetti autentici IV e V questo offre appunto le più evidenti analogie di situazione.
  4. Nel son. V, 9-11, la Fiammetta è raffigurata precisamente nell’atto di ornarsi i biondi capelli di frondi e di fiori; si osservi anche, qui avanti, il primo verso del son. I cape’ d’or (p. 166).