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Pagina:Boccaccio-Caccia e Rime-(1914).djvu/214

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180 Giovanni Boccacci

Certo null’altro che quello ch’io sento,
     Disio senza speranza[1]; e di sospiri10
     Cocenti come foco ò el petto pieno.
     Dunque la morte sola al mio tormento
     Può donar pace e finir i desiri[2],
     Che per molti anni anchor non vegnon meno.


Se io credesse, Amore, che in costei
     Virtute o senno o sentimento fosse,
     El fuoco che mi cuoce e che mi cosse,
     Come tu ài voluto e vo’, per lei,
     Credo con pazienza sofferrei5
     Drieto al dificio[3] ch’amarla mi mosse,
     Benché cener già sian le polpe e l’osse[4],
     E lo spirito manchi a’ sospir miei.
Ma perch’io veggio suo basso intelletto
     Nulla sentir che laudevole sia,10
     Contra mia voglia a te sono suggetto;
     E poi, sdegnoso, piango il mio difetto,
     Che la fe’ donna dell’anima mia,
     Della qual mai non spero aver bailia[5].


Perché ver me pur dispermenti[6] invano,
     Amor, ché più de’ tuoi[7] esser non deggio?


    il successivo) deve trovar posto nella serie inspirata dall’amore per la vedova fiorentina, LXXX-LXXXIX.

  1. Risponde alla domanda del v. 5.
  2. Cfr. LXXXV, 12-14.
  3. «Edificio, macchina,» e qui, figuratamente, «complesso delle ragioni.»
  4. Il corpo; c’è un ricordo di Dante (Inf., XXVII, 73).
  5. Per il conto in cui è tenuta qui la donna (cfr. specialmente il v. 9) si legherebbe a questo il son. LXXXIX, 9-14.
  6. «Ti provi.»
  7. Seguaci.