Caccia e Rime (Boccaccio)/Rime/LXXXIX

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LXXXIX. Poco senn’à chi crede la fortuna

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LXXXIX.


Poco senn’à chi crede la fortuna
     O con prieghi o con lacrime piegare,
     Et molto men chi crede lei fermare
     Con sermo1, con ingegno o arte alcuna.
     Poco senn’à chi crede atar2 la luna5
     A discorrer il ciel per suo sonare3,
     Et molto men chi ne crede portare,
     Morendo, seco l’or che qui raguna.

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Ma più ch’altri mi par matto colui
     Ch’a femina, qual vogli4, il suo honore,10
     Sua libertà et la vita commette.
     Elle donne non son, ma doglia altrui,
     Senza pietà senza fé senz’amore,
     Liete del mal di chi più lor credette5.


Note

  1. «Sermone, discorso.»
  2. «Aiutare.»
  3. Di questo errore popolare degli antichi si confessa in colpa la Fiammetta nel racconto omonimo: ‘E ricordami ch’io, della lentezza del corso di lei (la luna) crucciandomi, con vani suoni, seguendo gli antichi errori, aiutai il corso di lei alla sua rotondità pervenire’ (III).
  4. «Qualunque sia.»
  5. E nel Corbaccio: ‘La femmina è animale imperfetto, passionato da mille passioni spiacevoli e abominevoli pure a ricordarsene, non che a ragionare’, con tutto quel che segue. Dall’affinità delle idee si ricava che l’invettiva ed il sonetto appartengono alla stessa situazione sentimentale.