<dc:title> La caccia di Diana e le Rime </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giovanni Boccaccio</dc:creator><dc:date>1914</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Boccaccio-Caccia e Rime-(1914).djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Caccia_e_Rime_(Boccaccio)/Rime/XC&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20230604122310</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Caccia_e_Rime_(Boccaccio)/Rime/XC&oldid=-20230604122310
La caccia di Diana e le Rime - XC. Era ’l tuo ingegno divenuto tardo Giovanni Boccaccio1914Boccaccio-Caccia e Rime-(1914).djvu
Era ’l tuo ingegno divenuto tardo,
Et la memoria confusa et smarrita,
Et l’anima gentil quas’invilita
Driet’al riposo del mondo bugiardo;
Quando t’accese ’l mio vago riguardo5
Et suscitò la virtù tramortita,
Tanto ch’io t’ò condocto ove s’invita
Al glorioso fin ciascun gagliardo.
In te sta el venir, se l’intellecto
Aggiungi, driet’a me, che la corona10
Ti serbo delle frondi tanto amate1.
Che farai? vienne! — mi dice nel pecto
La donna per la quale Amor mi sprona2:
Et io mi sto, tant’è la mia viltate.
↑Ed è, qui, la Poesia, come comporta la promessa della laurea. La stessa figurazione è rappresentata come una nimpha, e ancora in atto d’invitare a sé lo scrittore, nel sonetto seguente.