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182 Giovanni Boccacci

     E prego te, che la morte mi dea
     Il tuo seguir1: de’ non esser più sorda!


Rotto è il martello, rott’è quella ’ncugge2
     Che solean fabricar le dolce rime,
     E rotti i folli3, rotte son le lime,
     E la fucina tutta si distrugge;
     Il foco più nel suo carbon non rugge,5
     Che riscaldava le materie prime,
     Di che formando l’opre non sublime4,
     Cantai del falso amor cui ragion fugge.
E però cessa la mia vaga5 penna
     Di recar fole con parole vane,10
     E da così fatta arte si rimane.
     Ma della fior soprana di soprane6,
     Che vince l’altre come l’auro brenna7,
     Pur tratterò io laude alta e perenna8.


  1. «Che la morte mi conceda di seguirti.» Cfr. XCVII, 13-14; CI, 12-14; CII, 12-14; CIV, 13-14.
  2. «Incudine.»
  3. «Mantici.»
  4. Le opere giovanili composte in servigio d’Amore.
  5. «Vagante, errante.»
  6. La Vergine, soprana fiore delle donne sovrane (quest’aggettivo è nel suo significato etimologico).
  7. «Cosa senza valore;» fu detto anche di persona, e particolarmente, più tardi, di cavallo di poco prezzo.
  8. I sonetti CXVII-CXIX, tra i certi, cantano appunto le lodi di Maria.