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206 giornata terza

[IV]

Don Felice insegna a frate Puccio come egli diverrá beato faccendo una sua penitenza; la quale frate Puccio fa, e don Felice in questo mezzo con la moglie del frate si dá buon tempo.


Poi che Filomena, finita la sua novella, si tacque, avendo Dioneo con dolci parole molto lo ’ngegno della donna commendato ed ancora la preghiera da Filomena ultimamente fatta, la reina ridendo guardò verso Panfilo e disse: — Ora appresso, Panfilo, continua con alcuna piacevol cosetta il nostro diletto. — Panfilo prestamente rispose che volentieri, e cominciò:

Madonna, assai persone sono che, mentre che essi si sforzano d’andarne in paradiso, senza avvedersene vi mandano altrui; il che ad una nostra vicina, non ha ancor lungo tempo, sí come voi potrete udire, intervenne.

Secondo che io udii giá dire, vicino di San Brancazio stette un buono uomo e ricco il quale fu chiamato Puccio di Rinieri, che poi, essendo tutto dato allo spirito, si fece bizzoco di quegli di san Francesco e fu chiamato frate Puccio: e seguendo questa sua vita spiritale, per ciò che altra famiglia non avea che una donna ed una fante, né per questo ad alcuna arte attender gli bisognava, usava molto la chiesa. E per ciò che uomo idiota era e di grossa pasta, diceva suoi paternostri, andava alle prediche, stava alle messe, né mai falliva che alle laude che cantavano i secolari esso non fosse; e digiunava e disciplinavasi, e bucinavasi che egli era degli scopatori. La moglie, che monna Isabetta aveva nome, giovane ancora di ventotto in trenta anni, fresca e bella e ritondetta che pareva una mela casolana, per la santitá del marito e forse per la vecchiezza faceva molto spesso troppo piú lunghe diete che voluto non avrebbe: e quando ella si sarebbe voluta dormire, o forse scherzar con lui, ed egli le raccontava la vita di Cristo o le prediche di frate Nastagio o il lamento della Maddalena o cosí fatte cose. Tornò in questi tempi da Parigi un monaco chiamato don Felice, conventuale di San Brancazio, il quale era assai giovane e