Pagina:Boccaccio - Decameron II.djvu/291

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novella ottava 285

Oltre a questo, quantunque voi qui scolar mi veggiate assai umile, io non son nato della feccia del popolazzo di Roma; le mie case ed i luoghi publici di Roma son pieni d’antiche imagini de’ miei maggiori, e gli annali romani si troveranno pieni di molti triunfi menati da’ Quinzi in sul roman Capitolio: né è, per vecchiezza, marcita, anzi oggi piú che mai fiorisce la gloria del nostro nome. Io mi taccio, per vergogna, delle mie ricchezze, nella mente avendo che l’onesta povertá sia antico e larghissimo patrimonio de’ nobili cittadini di Roma; la quale, se dall’oppinione de’ volgari è dannata, e son commendati i tesori, io ne sono, non come cupido ma come amato dalla fortuna, abbondante. Ed assai conosco che egli v’era qui, e doveva essere e dée, caro d’aver per parente Gisippo: ma io non vi debbo per alcuna cagione meno essere a Roma caro, considerando che di me lá avrete ottimo oste, ed utile e sollecito e possente padrone, cosí nelle publiche opportunitá come ne’ bisogni privati. Chi adunque, lasciando star la volontá e con ragion riguardando, piú i vostri consigli commenderá che quegli del mio Gisippo? Certo niuno. È adunque Sofronia ben maritata a Tito Quinzio Fulvo, nobile, antico e ricco cittadin di Roma ed amico di Gisippo; per che chi di ciò si duole o si ramarica, non fa quello che dée né sa quello che egli si fa. Saranno forse alcuni che diranno non dolersi, Sofronia esser moglie di Tito, ma dolersi del modo nel quale sua moglie è divenuta: nascosamente, di furto, senza saperne amico o parente alcuna cosa. E questo non è miracolo, né cosa che di nuovo avvenga. Io lascio star volentieri quelle che giá contro a’ voleri de’ padri hanno i mariti presi e quelle che si sono con li loro amanti fuggite, e prima amiche sono state che mogli, e quelle che prima con le gravidezze o co’ parti hanno i matrimoni palesati che con la lingua, ed hagli fatti la necessitá aggradire: quello che di Sofronia non è avvenuto; anzi ordinatamente, discretamente ed onestamente da Gisippo a Tito è stata data. Ed altri diranno, colui averla maritata, a cui di maritarla non apparteneva. Sciocche lamentanze son queste e feminili, e da poca considerazion procedenti. Non usa ora la fortuna di nuovo varie vie ed istrumenti nuovi