Pagina:Boccaccio - Decameron di Giovanni Boccaccio corretto ed illustrato con note. Tomo 5, 1828.djvu/196

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i pensieri delle femmine, tutto lo studio, tutte l’opere a niuna altra cosa tirano, se non a rubare a signoreggiare e ad ingannare gli uomini: perchè leggiermente credono, sopra loro d’ogni cosa che non sanno simili trattati tenersi. Da questo gli astrolagi, li negromanti, le femmine maliose, le indovine sono da loro usitate, chiamate avute care, e in tutte le loro opportunità (di niente servendo se non di favole) di quello de’ mariti cattivelli sono abbondevolmente sovvenute e sustentate, anzi arricchite: e se da queste pienamente saper non possono la loro intezione, ferocissime e con parole altiere e velenose s’ingegnano di certificarsi da’ loro mariti, a’ quali, quantunque il ver dicano, radissime volte credono, ma siccome animale a ciò inchinevole subitamente in sì fervente ira discorrono, che le tigre i leoni i serpenti hanno più d’umanità adirati che non hanno le femmine: le quali, chente che la cagione si sia per la quale accese in ira si sono, subitamente a’ veleni al fuoco e al ferro corrono. Quivi non amico, non parente, non fratello, non padre, non marito, non alcuno de’ suoi amanti è risparmiato; e più sarebbe allora caro a ciascuna tutto il mondo, il cielo, Iddio, e ciò ch’è di sopra e di sotto universalmente in un’ora poter confondere guastare e tornare in nulla, che ad animo riposato potere cento bagascioni al suo piacere adoperare. Se ’l tempo mel concedesse l’andar narrando quanti mali e come scellerati le loro ire abbiano già fatti, non dubito che tu non dicessi, essere il maggior miracolo che mai veduto o udito fosse che esse sieno sostenute da Dio. E oltre a ciò, è questa empia generazione avarissima: e acciocchè noi lasciamo stare l’imbolare continuo che