Pagina:Boccaccio - Decameron di Giovanni Boccaccio corretto ed illustrato con note. Tomo 5, 1828.djvu/214

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otto dì di raccontare tutte le cose ch’ella a così fatto fine adoperava, tanta gloria di quella sua artificiata bellezza, anzi spiacevolezza pigliava. A conservazion della quale troppa maggiore industria s’adoperava; perciocchè il sole, l’aere, il dì, la notte, il sereno il nuvolo, se molto non venieno a suo modo, fieramente l’offendeano: la polvere, il vento, il fummo avea ella in odio a spada tratta, e quando i lavamenti erano finiti, se per sciagura le si ponea una mosca in sul viso, questo era sì grande scandalezzo, e si grande turbazione, che a rispetto fu a’ cristiani perdere Acri un diletto: e dirottene una pazzia forse mai più non udita. Egli avvenne fra l’altre volte ch’una mosca in sul viso invetriato le si pose, avendo ella una nuova maniera di liscio adoperata, la quale essa, fieramente turbata, più volte s’ingegnò di ferir con mano: ma quella presta si levava, come tu sai ch’elle fanno, e ritornava: perchè non potendo ferirla, tutta accesa d’ira, presa una granata, e per tutta la casa or qua or là discorrendo per ucciderla l’andò seguitando: e portò ferma opinione, che se alla fine uccisa non l’avesse, o quella, o un’altra la quale avesse creduto esser quella, ella sarebbe di stizza e di veleno scoppiata. Che pensi ch’avesse fatto se alle mani le fosse venuto uno degli scudi di quelli suoi antichi cavalieri, e una di quelle spade dorate? Per certo ella si sarebbe messa con lei alla schermaglia: e che più? Questo avveniva il dì che si poteva con meno noia sostenere: ma se per forte disavventura una zenzara si fosse per la casa udita, che che ora si fosse stata di notte, convenia che ’l fante e la fante, e tutta l’altra famiglia si levasse, e co’ lumi in mano si metteano all’in-