Pagina:Boccaccio - Decameron di Giovanni Boccaccio corretto ed illustrato con note. Tomo 5, 1828.djvu/236

Da Wikisource.
232

ri; e perciocchè ciascuno non vede la serpe che sta sotto l’erba nascosa, spesso vi piglia de’ grossi: ma siccome colei che di variar cibi spesso si diletta, non dopo molto, sazia, a prendere nuova cacciagion si ritorna; e per avern’ella tuttavia due o tre presti, non si riman’ella perciò d’uccellare: e se io di questo mento, o dico il vero, tu ’l sai, che parendoti bene mille occhi avere, senza sapertene guardare, nelle panie incappasti. Giunta adunque nella chiesa, e non senza cautela avendo riguardato per tutto, prestamente avendo raccolto con gli occhi chiunque v’è, incomincia , senza ristar mai, a faticare una dolente filza di paternostri, or dall’una mano nell’altra, e dall’altra nell’una trasmutandoli, senza mai dirne uno, siccome colei la quale ha faccenda soperchia pur di far motto a questa e a quell’altra, e di sufolare ora ad una ora ad un’altra nell’orecchie, e così d’ascoltarne ora una ora un’altra: come che questo molto grave le paia, cioè d’ascoltarne niuna, si bene le par sapere dire a lei: e in questo, senza altro far mai, tutto quel tempo che nella chiesa dimora consuma. Forse direbbe alcuno: quello che nella chiesa non si fa ella il supplisce nella sua casetta; la qual cosa non è punto vera: perciocchè chi si potesse di ciò essere ingannato, altramenti credendo che ’l fatto sta, io, siccome colui che s’ella alcuno ben facesse, o alcuna orazione o paternostro dicesse, il sentirei, non ne posso essere ingannato; perciocchè non altrimenti che la fresca acqua è sopra i caldi corpi soave, così a quelli la mia arsura sentirei rinfrescare. Ma che dico io? forse sono l’ingannato pure io: essa ne dice, forse ad altrui nome: già so io bene, che non è ancora lun-