Pagina:Boccaccio - Decameron di Giovanni Boccaccio corretto ed illustrato con note. Tomo 5, 1828.djvu/36

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32 GIORNATA DECIMA

ella t’aggrada, io te ne priego; perciocchè, mentre vivuto ci sono, niuno ho ancor trovato che disiderata l’abbia, nè so quando trovar me ne possa veruno, se tu non la prendi che la dimandi. E se pure avvenisse che io ne dovessi alcun trovare, conosco che, quanto più la guarderò, di minor pregio sarà; e però, anzi che ella divenga più vile, prendila, io te ne priego. Mitridanes, vergognandosi forte, disse: tolga Iddio che così cara cosa, come la vostra vita è, non che io da voi dividendola la prenda, ma pur la disideri, come poco avanti faceva: alla quale non che io diminuissi gli anni suoi, ma io l’aggiugnerei volentier de’ miei1. A cui prestamente Natan disse: e, se tu puoi, vuo’nele tu aggiugnere, e farai a me fare verso di te quello che mai verso alcuno altro non feci, cioè delle tue cose pigliare, che mai dell’altrui non pigliai? Sì, disse subitamente Mitridanes. Adunque, disse Natan, farai tu come io ti dirò. Tu rimarrai giovane, come tu se’, qui nella mia casa e avrai nome Natan, e io me n’andrò nella tua e farommi sempre chiamar Mitridanes. Allora Mitridanes rispose: se io sapessi così bene operare come voi sapete e avete saputo, io prenderei senza troppa diliberazione quello ohe m’offerete; ma, perciocchè egli mi pare esser molto certo che le mie opere sarebbon diminuimento della fama di Natan, e io non intendo di guastare in altrui quello che in me io non so acconciare, nol prenderò. Questi, e molti altri piacevoli ragionamenti stati tra Natan e Mitridanes, come a Natan piacque, insieme verso il palagio se ne tornarono, dove Natan più giorni sommamente onorò Mitridanes,

  1. De’ mìei, se io potessi; il testo del 27.