Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/148

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savissimo l’ho tenuto.

A queste parole mi si mutò il cuore, non altramente che ad Oenone sopra gli alti monti d’Ida aspettante, veggendo la greca donna col suo amante venire nella nave troiana; e appena ciò nel viso nascondere potei, avvegna che io pur lo facessi, e con falso riso dissi: Certo tu di’ il vero: questo paese a lui male grazioso, non gli potè concedere per amanza una donna alla sua virtù debita; però se colà l’ha trovata, saviamente fa, se con lei si dimora. Ma dimmi con che animo sostiene ciò la sua novella sposa?

Egli allora rispose: Niuna sposa è a lui; e quella, la quale non ha lungo tempo ne fu detto che venne nella sua casa, non a lui, ma al padre è vero che venne.

Mentre che egli queste parole da me ascoltato diceva, io d’una angoscia uscita ed entrata in un’altra molto maggiore, da ira sùbita stimolata e da dolore, così il tristo cuore si cominciò a dibattere, come le preste ali di Progne, qualora vola più forte, battono i bianchi lati; e li paurosi spiriti non altramente mi cominciarono per ogni parte a tremare, che faccia il mare da sottile vento ristretto nella sua superficie minutamente, o li pieghevoli giunchi lievemente mossi dall’aura; e cominciai a sentire le forze fuggirsi via. Per che quindi, come più acconciamente potei, nella mia camera mi ricolsi.

Partita adunque dalla presenza d’ogni uomo, non prima sola in quella pervenni, che per gli occhi, non altramente che vena che pregna sgorghi nell’umide valli, amare lagrime cominciai a versare, e appena le voci ritenni dagli alti guai, e sopra al misero letto de’ nostri amori testimonio, volendo dire O Panfilo,