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fontana appiè del gelso trovando li vestimenti della sua Tisbe laniati da salvatica fiera e sanguinosi, per li quali segnali egli meritamente lei divorata comprese! Certo l’uccidere se medesimo il dimostra. Poi, in me rivolgendo i pensieri della misera Tisbe guardante davanti da sè il suo amante pieno di sangue, e ancora con poca vita palpitante, quelli e le sue lagrime sento, e sì le conosco cocenti, che appena altre più che quelle, fuori che le mie, mi si lascia credere che cuocano, però che questi due, sì come li già detti, nel cominciare de’ loro dolori quelli terminarono. Oh, felici anime le loro, se così nell’altro mondo s’ama come in questo! Niuna pena di quello si potrà adeguare al diletto della loro etterna compagnia.
Vienmi poi innanzi, con molta più forza che alcuno altro, il dolore dell’abandonata Dido, però che più al mio simigliante il conosco quasi che altro alcuno. Io imagino lei edificante Cartagine, e con somma pompa dare leggi nel tempio di Giunone a’ suoi popoli, e quivi benignamente ricevere il forestiere Enea naufrago, ed essere presa della sua forma, e sè e le sue cose rimettere nell’arbitrio del troiano duca; il quale, avendo le reali delizie usate al suo piacere, e lei di giorno in giorno più accesa del suo amore, abandonatala si diparte. Oh quanto senza comparazione mi si mostra miserevole, mirando lei riguardante il mare pieno di legni del fuggente amante! Ma ultimamente, più impaziente che dolorosa la tengo, considerando alla sua morte. E certo io nel primo partire di Panfilo sentii per mio avviso quel medesimo dolore, che nella partita di Enea; così avessero allora gl’iddii voluto che io poco sofferente mi fossi subitamente uccisa! Almeno, sì come