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Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/201

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con questa insieme considero la scelerata Mirra, la quale, dopo li suoi mal goduti amori, fuggendo la morte dall’adirato padre minacciatale, in quella, misera, incappò. Veggio ancora la dolorosa Canace, a cui, dopo il miserabile parto mal conceputo, niuna altra cosa che ’l morir fu conceduto; e meco stessa pensando bene all’angoscia di ciascheduna, senza niuno dubbio grandissima la discerno, avvegna che abominevoli fossero li loro amori. Ma se bene considero, io le veggo finite, o per finire in corto spazio, però che Mirra nell’albero del suo nome, avendo gl’iddii secondi al suo disio, senza alcuno indugio fuggendo, fu permutata, nè più (posto che egli sempre lagrimi, sì come ella, allora che mutò forma, faceva) alcuna delle sue pene sente; e così come la cagione da dolersi le venne, così quella le giunse che le tolse la doglia. Biblìs similmente, secondo che alcuno dice, col capestro le terminò senza indugio, avvegna che altri tenga che ella, per beneficio delle ninfe pietose de’ suoi danni, in fonte, ancora il suo nome servante, si convertisse; e questo avvenne, come conobbe a sè da Cauno negato del tutto il suo piacere. Che dunque dirò, mostrando la mia pena molto maggiore che quella di queste donne, se non che la brevità della loro è dalla mia molto lunga avanzata?

Considerate adunque costoro, mi viene la pietà dello sfortunato Piramo e della sua Tisbe, a’ quali io porto non poca compassione, imaginandoli giovinetti, e con affanno lungamente avere amato, ed essendo per congiugnere i loro disii, perdere se medesimi. Oh, quanto è da credere che con amara doglia fosse il giovinetto trafitto nella tacita notte, sopra la chiara