Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/46

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che m’apparve, ma Tesifone fosse piuttosto, la quale posti più giù gli spaventevoli crini non altramente che Giunone la chiarezza della sua deità, e vestita la splendida forma, quale quella si vestì la senile, così mi si fece vedere come essa a Semelè, simigliante consiglio di distruzione ultima, qual fece ella, porgendomi; il quale io miseramente credendo, o pietosissima fede, o reverenda vergogna, o castità santissima, delle oneste donne unico e caro tesoro, mi fu cagione di cacciarvi. Ma perdonatemi, se penitenzia data al peccatore può, sostenuta, perdono alcuna volta impetrare.

Poi che del mio cospetto si fu partita la dea, io ne’ suoi piaceri con tutto l’animo rimasi disposta; e come che ogn’altro senno mi togliesse la passione furiosa che io sostenea, non so per quale mio merito, solo un bene di molti perduti mi fu lasciato, cioè il conoscere che rade volte, o non mai, fu ad amore palese conceduto felice fine. E però, tra gli altri miei più sommi pensieri, quanto che egli mi fosse gravissimo a fare, disposi di non preporre alla ragione il volere recare a fine cotal disio. E certo, quanto che io molte volte fossi per diversi accidenti fortissimamente costretta, pure tanto di grazia mi fu conceduto, che senza trapassare il segno, virilmente sostenendo l’affanno passai. E in verità ancora durano le forze a tal consiglio, però che quantunque io scriva cose verissime, sotto sì fatto ordine l’ho disposte che, eccetto colui che così come io le sa, essendo di tutte cagione, niuno altro, per quantunque avesse acuto l’avvedimento, potrebbe chi io mi fossi conoscere. E io lui priego, se mai per avventura questo libretto alle mani gli perviene,