Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/47

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che egli, per quello amore il quale già mi portò, che celi quello che a lui nè utile nè onore può, manifestandol, tornare. E s’egli m’ha tolto, senza averlo io meritato, sè, non mi voglia tòrre quello onore, il quale avvegna che io ingiustamente porti, esso come sè, volendo, non mi potrebbe rendere giammai.

Cotale proponimento adunque servando, e sotto grave peso di sofferenza domando li miei disii volonterosissimi di mostrarsi, m’ingegnai con occultissimi atti, quando tempo mi fu conceduto, d’accendere il giovine in quelle medesime fiamme ove io ardea, e di farlo cauto come io era. E in verità in ciò non mi fu luogo lunga fatica, però che, se ne’ sembianti vera testimonianza della qualità del cuore si comprende, io in poco tempo conobbi al mio disiderio esser seguito l’effetto; e non solamente dell’amoroso ardore, ma ancora di cautela perfetta il vidi pieno; il che sommamente mi fu a grado. Esso con intera considerazione, vago di servare il mio onore, e d’adempiere, quando i luoghi e i tempi il concedessero, li suoi disii, credo non senza gravissima pena, usando molta arte, s’ingegnò d’avere la familiarità di qualunque m’era parente, e ultimamente del mio marito; la quale non solamente ebbe, ma ancora con tanta grazia la possedette, che a niuno niuna cosa era a grado, se non tanto quanto con lui la comunicava. Quanto questo mi piacesse, credo che senza scriverlo il conosciate: e chi sarebbe quella sì stolta, che non credesse che sommamente da questa familiarità nacque il potermi alcuna volta, e io a lui, in publico favellare?

Ma già parendogli tempo da procedere a più sottili cose, ora con uno, ora con un altro, quando vedeva che io