Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/57

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mesi, varie maniere di scuse ho trovate; e ultimamente non accettandone alcuna, per la mia puerizia nel suo grembo teneramente allevata, per l’amore da lui verso di me continuamente portato e per quello che a lui portar debbo, per la debita ubidienza filiale, e per qualunque altra cosa più grave puote, continuo mi scongiura che a rivedere lo vada. E oltre a ciò da amici e da parenti con prieghi solenni me ne fa stimolare, dicendo in fine sè la misera anima cacciare del corpo sconsolata, se me non vede. Ohimè, quanto sono le naturali leggi forti! Io non ho potuto fare, nè posso, che nel molto amore che io ti porto non abbia trovato luogo questa pietà; onde, avendo in me, con licenza di te, diliberato d’andare a rivederlo, e con lui dimorare a consolazione sua alcuno piccolo spazio di tempo, non sappiendo come senza te viver mi possa, di tal cosa ricordandomi tuttavia, meritamente piango.

E qui si tacque.

Se alcuna di voi fu mai, o donne a cui io parlo, alla quale, ferventemente amando, tale caso avvenisse, colei sola spero che possa conoscere quale allora fosse la mia tristizia; all’altre non curo di dimostrarlo, però che così come ogn’altro essemplo che il detto, così ogni parlare ci sarebbe scarso. Io dico sommariamente che, udendo io queste parole, l’anima mia cercò di fuggire da me, e senza dubbio credo fuggita sariesi, se non che essa di colui nelle braccia cui più amava si sentiva stare; ma nondimeno paurosa rimasa, e occupata da greve doglia, lungamente mi tolse il poter dire alcuna cosa. Ma poi che per alquanto spazio si fu assuefatta a sostenere il mai più non sentito dolore, a’ miseri spiriti rendè le paurose forze, e gli occhi, rigidi divenuti, ebbero