Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/93

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di colei non riprendessi, invidiosa che da lei sí aperti segnali d’amore verso Panfilo si mostrassero, dubitando, non meno che essa, cosí, come io, non avesse legittima cagione di dolersi delle udite parole. Ma pure mi tenni, e con noiosa fatica, alla quale non credo che simigliante si truovi, il turbato cuore sotto non cambiato viso servai, di piagnere piú disiosa che di piú ascoltare.

Ma la giovine, forse con quella medesima forza che io, ritenendo dentro il dolore, come se stata non fosse quella che s’era davanti turbata, fattasi far fede di quelle parole, quanto piú dimandava piú trovava la cosa contraria al suo disio e al mio. Onde, dato al mercatante commiato, chè l domandava, e ricoperta con infinite risa la sua tristizia, con ragionamenti diversi insieme quivi per piú lungo spazio ch’io non averei voluto ci rimanemmo.

Venuti meno i nostri ragionamenti, ciascuna si dipartí, e io con anima piena d’angosciosa ira, non altramente fremendo che il leone libico poscia che nelle sue insidie scuopre i cacciatori, ora nel viso accesa e ora palida divenendo, quando con lento passo e quando con piú veloce che la donnesca onestà non richiede, tornai alla mia casa. E poi che licito mi fu di potere di me fare a mio senno, entrata nella mia camera, amaramente cominciai a piagnere, e quando per lungo spazio le molte lagrime parte della gran doglia ebbero sfogata, essendomi alquanto piú libero il parlare, con voce assai debole incominciai: Ora, o misera Fiammetta, sai perchè il tuo Panfilo non ritorna; ora sai la cagione della sua dimora tanto da te disiata; ora hai quello che tu andavi cercando di trovare. Che, misera, chiedi piú? Che piú addimandi? Bastiti questo: Panfilo non è piú