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Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/11

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libro primo 7

i miei con acuta luce, per la quale una focosa saetta d’oro, al mio parere, vidi venire, e quella, per gli occhi miei passando, percosse sí forte il core del piacere della bella donna, che ritornando egli nel primo tremore ancora trema; e in esso entrata, v’accese una fiamma, secondo il mio avviso, inestinguibile, e di tanto valore, che ogni intendimento dell’anima rivolse a pensare delle maravigliose bellezze della vaga donna. Ma poi che di quindi con piagato core partito mi fui, e sospirato ebbi piú giorni per la nova percossa, pur pensando alla valorosa donna, avvenne che un giorno, non so come, la fortuna mi balestrò in un santo tempio dal prencipe de’ celestiali uccelli nominato, nel quale sacerdotesse di Diana, sotto bianchi veli, di neri vestimenti vestite, coltivavano tiepidi fochi, e divotamente laudavano il sommo Giove; lá dove io giungendo, con alquante di quelle vidi la graziosa donna del mio core stare con festevole e allegro ragionamento, nel quale io e alcuno compagno domesticamente accolti fummo. E venuti d’un ragionamento in altro, dopo molti, venimmo a parlare del valoroso giovane Florio, figliuolo di Felice grandissimo re di Spagna, recitando i suoi casi con amorose parole. Le quali udendo la gentilissima donna, senza comparazione le piacquero, e con amorevole atto verso me rivolta, lieta, cosí cominciò a parlare: «Certo grande ingiuria riceve la memoria degli amorosi giovani, pensando alla gran costanza de’ loro animi, i quali in uno volere per l’amorosa forza sempre furono fermi serbandosi ferma fede, a non essere con debita ricordanza la loro fama esaltata da’ versi d’alcun poeta, ma lasciata solamente ne’ favolosi parlari degli ignoranti. Ond’io, non meno vaga di poter dire che io sia stata cagione di rilevazione della loro fama che pietosa de’ loro casi, ti priego per quella virtú che fu negli occhi miei, il primo giorno che tu mi vedesti e a me per amorosa forza t’obbligasti, che tu t’affanni in comporre un picciolo libretto volgarmente parlando, nel quale il nascimento, l’innamoramento e gli accidenti de’ detti due, infino alla lor fine, interamente si contengano». E detto questo, si tacque. Io sentendo la dolcezza delle parole