Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/331

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libro quarto 327

suo inganno con non dovuto sdegno verso me scoperse, mostrandosi ne’ sembianti a me crudelissima nemica, sempre gli occhi torcendo in parte a quella contraria dove me veduto avesse, e con non dovute parole continuo dispregiandomi. Per la qual cosa, avendo io in molte maniere con prieghi e con umiltá ingegnatomi di raumiliare la sua acerbitá, e non potendo mai, io sovente piango, e dolgomi di tanto infortunio, né in maniera alcuna posso d’amarla tirarmi indietro: anzi quanto piú crudele contra me la sento, tanto piú pare che la fiamma del suo piacere m’accenda il tristo cuore. Delle quali cose dolendomi io un giorno tutto saletto in un giardino con infiniti sospiri accompagnati da molte lagrime, sopravvenne un mio singulare amico, al quale parte de’ miei danni era palese, e quivi con pietose parole mi cominciò a volere confortare, i cui conforti non ascoltando io punto, ma rispondendogli che la mia miseria ogni altra passava, egli cosí mi disse: «Tanto è l’uomo misero quanto egli medesimo si fa o si reputa; ma certo io ho molto maggiore cagione di dolermi che tu non hai». Io allora quasi turbato mi rivolsi a lui, dicendo: «E come? Chi la può maggiore di me avere? Non ricevo io mal guiderdone per ben servire? Non sono io odiato per lealmente amare? Cosí come me può alcuno essere dolente, ma piú no». «Certo» disse l’amico, «io ho maggiore cagione di dolermi che tu non hai, e odi come. A te non è occulto ch’io lungo tempo abbia una gentil donna amata e amo sí come tu sai, né mai alcuna cosa fu ch’io credessi che a lei piacesse, che con tutto il mio ingegno e potere non mi sia messo a farla. E certo essa di questo conoscente, di ciò ch’io piú disiderava mi fé grazioso dono, il quale avendo io ricevuto, e ricevendo qualora mi piaceva, per lunga stagione non mi pareva alla mia vita avere in allegrezza pari. Solo uno stimolo avea, che non le poteva far credere quanto io perfettamente l’amava: pure di questo, sentendomi amarla come io diceva, leggermente mi passava. Ma gl’iddii, che niuno bene mondano vogliono senza alcuna amaritudine concedere, acciò che i celestiali siano piú conosciuti, e per conseguente