Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/414

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410 il filocolo

le braccia, e piú volte cercandolo tutto, non potendo dormire, cosí quasi piangendo incominciò a dire:

«O Florio, sola speranza mia, gl’iddii ti concedino migliore notte che io non ho; gl’iddii ti conservino in quella prosperitá e in quel bene che tu disideri, e a te e a me concedano ciò che lecito non ci fu potere avere, e mettanti in core di ricercarmi, avvegna che assai lontana ti dimori. Ben saper puoi che per amore di te sostengo le non meritate tribulazioni: e però quello amore che me non lasciò vincere alla paura, che del tuo padre avere doveva, che io non ti amassi, vincati a far sí che io da te sia ricercata. Non ti ritengano le minaccie del tuo padre, né le lusinghe della tua madre. Spera, ché io non ho altro bene al mondo che te, né d’altrui aspetto soccorso se non da te. O dolce Florio, possibile mi fosse ora nelle mie braccia ritrovarti! Oh, quanto bene avrei! Certo io non crederei che la fortuna o gl’iddii mi potessero poi far male. Io ti bacerei centomila volte, e appena credo che queste mi bastassero. Oh, quante volte sarieno da me baciati quegli occhi, che con la loro piacevolezza prima mi fecero amor sentire! Io strignerei con le consolate braccia il dilicato collo tanto, quanto il mio disio avanti si distendesse. Deh, ora ci fossi tu: che è a pensare che una timida giovine dorma sí sola in cosí gran letto come fo io? Tu mi saresti graziosa compagnia e sicura. O santa Venere, quando sará che la promessa a me fatta da voi s’adempia? Viverò io tanto? Appena che io lo creda. Io ardo. Io non posso sostenere le vostre percosse, e impossibile conosco che il mio disio ora s’adempia, tanto gli sono lontana; ma in luogo di ciò, o Citerea, manda nel petto mio soave sonno, e quello che io veramente aver non posso, fallomi nel sonno sentire. Contenta con questo il mio disire, acciò che alquanto si mitighi la mia pena. Or ecco io m’acconcio a dormire, e attendo nelle mie braccia il disiato bene, o santa dea. Io gli lascio il suo luogo: venga con grazioso diletto a me, io te ne priego». Queste parole dicendo, ogni volta che ella ricordava Florio, gittava un grandissimo sospiro, e, con le braccia