Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/482

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478 il filocolo

sostenere: e se, come giá si disse, avessono forza, gli oltraggi, che tutto giorno sentono, senza punizione non passerieno. Similmente se le bellezze loro le nostre avanzassero, contenti ne’ loro termini non quelle per le mondane abbandonerebbero, sí come molte volte hanno fatto e fanno. Se sí provvidi fossero come si tengono giá, non agl’ingegni delle semplici giovani si lascerebbero ingannare, né quelle con ingegni ingannerebbono. Se forti, perché in toro Giove mutarsi per ingannare Europa? Se belli, perché in oro per ingannare Danae? Se savi, perché non provvedere all’impromessa fatta all’amata Semele? Niuna di queste cose è in loro, e voi le due avete. mostrate, e io mostrerò la terza. Io non, meno bella d’Alcitoe, amata in prima da molti e poi da Febo, con discreto stile amando, mai ad alcuno il mio cor non patefeci, ma per non disciogliere da’ miei legami alcuno, quelli, che tal volta piú m’erano in odio, con piú lusinghevole occhio riguardava. Del numero de’ quali Febo, provveditore de’ futuri accidenti, fu. Oh, quante volte egli, per piú lungo spazio potermi vedere, con lento passo menò i suoi cavalli per mezzo il cielo, e ritennegli alcuna volta con adirata mano, cosí affrettandosi essi com’erano usati d’andare alle onde d’Esperia! E spesso, non avendo ancora loro rimessi i freni, in quelli medesimi si crucciò, volenteroso di cercare l’Aurora prima che il convenevole. Oh, quante volte si dolsero con lamentevoli voci le notti a Giove, dicendo che la ragione del loro spazio Febo occupava! E mi ricorda ancora che tanto fu un giorno il diletto che di mirarmi prendeva, che egli ebbe presso che smarrito l’usato cammino. E se non fosse stato il romore di Cinosura, che, vedendolo di lontano, temette le sue fiamme e il fece in sé ritornare, egli pure avrebbe la seconda volta arso il cielo, e io di ciò mi avrei riso, se fulminato fosse caduto sí come il figliuolo. Io non so se fu mai savio come si dice, ma se cosí fu, non so dove egli la sua scienza mandasse, che egli sempre con ferma fede credette sé essere singulare signore dell’anima mia. Esso, cercatore di tutto il mondo, portava seco d’ogni parte que’ doni ch’egli credeva che mi dovessero piú piacere, e con quelli