Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/115

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con che viso ti potrò io pregare che della mia t’incresca, alla quale alcuna compassione dovresti avere avuta, pensando che io per te la metterei ad ogni pericolo, credendoti da noia allontanare? Tu avrai, partendoti, guadagnata la tua morte e la mia: e se non morte, vita più dolorosa che morte non ci falla! Tu te n’andrai a Montoro col vero corpo, e io misera rimarrò seguendoti sempre con la mente; nè mai in alcuna parte sanza me sarai, e niun diletto da te ha preso, che io con lamentevole disio non ti seguiti addesso. Nè fia per te fatto alcuno studio che io similemente imaginando non studii, disiderando più tosto di convertirmi in libro per essere da te veduta, che stare nella mia forma da te lontana. Ma certo la fortuna e gl’iddii hanno ragione d’essere avversi a’ nostri disii, i quali abbiamo sì lungamente avuto spazio di potere toccare l’ultime possanze d’amore, e mai non le tentammo: la qual cosa forse, se stata fosse fatta, o più forte vinco avrebbe te meco a me teco legato, per lo quale partiti non potremmo essere stati di leggere, come ora saremo, o quello che ci strigne si sarebbe o tutto o in maggior parte soluto, nè mi dorrebbe tanto la tua partenza. Certo per le dette ragioni me ne duole, ma per la servata onestà sono contenta che la nostra età sia stata casta, alla quale ancora ben bene sì fatta cosa non si convenia. E appresso credo che forse gl’iddii ci serbano più lieti congiungimenti, e con migliore cagione: ma, oimè dolente!, che questo non so io, nè già per tale speranza il mio dolor non scema! Or volessono gl’iddii che, poi che dividere mi debbo da te, che se’ solo mio bene mia luce e mia speranza, mi fosse licito il morire!