Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/180

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In che ho io offeso? Certo in niuna cosa, ch’io sappia. Io mai nè con parole nè con operazioni non lesi la reale maestà, e la reina mia cara donna sempre onorai, nè mai rubando nè spogliando i santi templi e gli altari degl’iddii commisi sacrilegio, nè mai si tinsero le mie mani nè l’altrui per me d’alcun sangue: dunque questo perchè m’è fatto? Oimè, iniqua fortuna, maladetta sii tu! Or non ti potevi tu chiamare sazia delle mie avversità, pensando che divisa m’avevi da quella cosa nella quale ogni mia prosperità e allegrezza dimorava, sanza volermi ancora fare ora questa vergogna d’essere messa in prigione sanza averlo meritato? Deh, se tu avevi volontà di nuocermi, perchè avanti non mi uccidevi? Credo che conosci che la morte mi sarebbe stata somma felicità, però che i miei sospiri avrebbe terminati. Stiano adunque i miseri sicuri contra i tagli delle spade e contra le punte delle agute lance, infino a tanto che il cielo avrà il loro tempo volto, però che fortunoso caso di vita non li priverebbe. Oimè, or tu mi ti mostrasti poco avanti così lieta, faccendomi più degna che alcuna altra giovane della real casa di portare il santo paone alla mensa dove il re sedea, accompagnato da quelli baroni, i quali tutti in mio onore e servigio si vantarono! E questa la fine che tu vuoi a’ loro vanti porre? Oimè, com’è laida e vituperevole! Tosto hai mutato viso a mio dannaggio! Maladetto sia il giorno del mio nascimento! Io fui cagione di sforzata morte al mio padre e alla mia madre, i quali io già mai non vidi, e ora, non so come, la mi pare avere a me meritata. Oimè, che gl’iddii e ’l mondo m’hanno abandonata, e massimamente tu,