Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/182

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con essa sono fuggiti. Ma l’anello ch’io ti donai ha egli perduta la virtù? Io credo di sì, però che alle mie avversità niuna speranza è lasciata. O santa Venus, al cui servigio l’animo mio è tutto disposto, per la tua somma deità non mi abandonare, e per quello amore che tu portasti al tuo dolce Adone, aiutami. Io sono giovane usata nelle reali case, dove io nacqui, con molte compagne continuamente stata: ora non so perchè sia sì vilmente rinchiusa. Sola la paura mi confonde: a me pare che quante ombre vanno per la nera città di Dite, tutte mi si parino davanti agli occhi con terribili e spaventevoli atti. Mandami alcuno de’ tuoi santi raggi in compagnia; e in bene della mia vita adopera quello che tu meglio di me conosci che bisogna, chè tu vedi bene che io aiutare non mi posso -. Non avea Biancifiore ancora compiute di dire queste parole, che nella prigione subitamente apparve una gran luce e maravigliosa, dentro alla quale Venere ignuda, fuor solamente involta in uno porporino velo, coronata d’alloro, con un ramo delle frondi di Pallade in mano dimorava. La quale, quivi giunta, subitamente disse: Ahi, bella giovane, non ti sconfortare. Noi già mai non ti abandoneremo: confortati. Credi tu che la nostra deità abandoni così di leggiere i suoi suggetti? Le tue voci ci percossero gli orecchi infino nel nostro cielo, al pietoso suono delle quali io subitamente a te sono discesa, e mai non ti lascierò sola. E non dubitare di cosa che stata ti sia infino a qui fatta, che da questa ora avanti niuna cosa ti sarà fatta, per la quale altra offesa che sola un poco di paura te ne seguisca -. Quando Biancifiore vide questo lume e la bella donna dentro alla prigione, tutta riconfortata, si gittò ginocchione in terra davanti ad essa,