Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/189

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se io l’avessi odiato? Quale tormento m’avresti tu trovato maggiore? Io, misera, mai nol ti dimandai, nè lui pregai ch’egli di me s’innamorasse. Se gl’iddii concedettero al mio viso tanta di piacevolezza che il suo gentile cuore fosse per quella preso, ho io però meritata la morte? Se io avessi creduto che la mia bellezza mi fosse stata agurio di sì doloroso fine, io con le mie mani l’avrei deturpata, seguendo l’essemplo di Spurima, romano giovane. Ma fuggano omai gli uomini i doni degl’iddii, poi che essi sono cagione di vituperevole fine. Io, misera, avrei già potuto con le mie parole tirare Florio in qualunque parte la volontà più m’avesse giudicato, o congiugnerlo meco per matrimoniale nodo, se io avessi voluto, se non fosse stata la pietà che ’l mio leale cuore ti portava. O vecchio re, per l’onore che io da te ricevea non ti volli mai del tuo unico figliuolo privare, e io del bene operare sono così meritata. A questo fine possano venire i servidori de’ crudeli, che io veggio venir me! O sommo Giove, il quale io conosco per mio creatore, aiutami. Tu sai la verità di questo fatto, e conosci che io non fallii mai: non consentire adunque che le pietose opere abbiano tale guiderdone. La mia speranza chiede solo il tuo aiuto, fermandosi nella tua misericordia. Non sostenere che oggi il nome degli effetti del tuo cielo ricuopra la iniquità del re Felice contra di me, ma manifestamente fa nota la verità. E tu, o santa Giunone, nel cui uccello tanta falsità fu nascosa per conducermi a questo fine, vendica la tua onta, fa che questa cosa non rimanga inulta ma sia letta ancora tra l’altre vendette da te fatte, acciò che la tebana Semelè o la misera Ecco non si