Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/266

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da’ quali ora per la tua potenza medesima tradito e ingannato mi trovo! Oimè misero, quante fiate già per la tua potenza mi giurò ella che mai me per altrui non lascerebbe, e io a lei simile promissione feci! Io l’ho osservata, ma ella m’ha abandonato. Ove è fuggita la promessa fede? E tu dove se’, o Amore, il cui potere è stato schernito da questa giovane? Come non ti vendichi, e me similmente? Se tu così notabile fallo lasci impunito chi avrà in te già mai fidanza? Tu perseguitasti il misero Ipolito infino alla morte perchè egli sdegnava tua signoria: come costei, che l’ha ingannata, non punisci? Io non ne cerco però grave punizione, ma solamente che tu la ritorni nel pristino stato; e se questo conceder non mi vuoi, consenti di chiudere con le tue mani i miei occhi acciò che più la mia vita in sì fatta maniera non si dolga. Deh, ascolta i prieghi del misero, o caro signore; rivolgiti verso lui con pietoso viso, acciò ch’egli possa avere alcuna consolazione anzi la morte, la quale tosto, in dispiacere del mio padre, prendere mi possa, il quale di questo male è cagione, però che se egli non fosse, io non sarei stato lontano, e essendo stato presente, la mia Biancifiore non avrebbe me per Fileno dimenticato: avvegna che ancora io credo che per paura di lui ella si sia ingegnata d’avere altro amadore. Oimè, che nulla cagione è che a me non sia contraria! A me avviene sì come alla nave, alla quale, già mezza inghiottita dalle tempestose onde, ogni vento è contrario. O misera fortuna, i tuoi ingegni aguzzano a nuocere a me, apparecchiato di ruinare! Oimè, perchè questo sia io non so. Tu fosti già a me benignissima madre, e ora mi se’ acerba