Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/326

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il tuo Florio viene, nella mente ogni cosa notava, fra sè dolendosi, incominciò a dire: oimè, ch’è questo? In sì fatta maniera non sogliono le giovani andare a’ loro sposi, anzi si sogliono fare grandissime feste, e io con taciturnità sono cercata di menar via. Nè ancora si sogliono per le mie pari da’ mariti mandare tesori, anzi ne sogliono ricevere. Nè ancora costoro paiono uomini atti a portare ambascerie di sì fatte bisogne, ma mi sembrano mercatanti; e i segreti mormorii mi danno cagione di dubitare. E ove s’usa ancora una giovane andare a sì fatto sposo, quale egli dice che m’ha donato, con una sola servitrice? Oimè, che tutte queste cose mi manifestano che io sono ingannata! Io misera nata per aver male, non maritata ma venduta credo ch’io sia, come schiava da’ pirati in corso presa. Oimè, che farò? Comechè io mi sia, o venduta o maritata, come potrò io abbandonare il bel paese ove il mio Florio dimora? E questo dicendo, incominciò sì forte a piangere, che a forza mise pietà ne’ crudeli cuori del re e della reina: ma il re ciò non sofferse di stare a vedere, anzi si partì per paura di non pentersi, e la seconda volta comandò che portata ne fosse.

Già lasciava Febo vedere la sua cornuta sorella, disiosa di tornare alquanto con la sua madre, quando i mercatanti apparecchiati i cavalli, levarono Biancofiore di braccio alla reina semiviva, e con Glorizia insieme di quindi partendosi la ne portarono: e pervenuti alla loro nave, contenti di tale mercatanzia lei sopra quella posero, apparecchiando la più onorevole parte d’essa, e pregando gl’iddii che prospero viaggio loro concedessero. E date le vele a’ venti, si par-