Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/335

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nella quale più ti parrà impossibile di doverlo potere avere o vedere, tel troverai nelle tue braccia ignudo -. E queste cose dette, sparvero, e Biancifiore si svegliò: e lungamente pensando alle vedute cose, molto conforto riprese, e con lieto viso a Glorizia queste cose tutte raccontò; di che insieme prendendo buona speranza di futura salute, fecero maravigliosa festa.

Nettunno tenea i suoi regni in pace e Eolo prosperosamente pingeva l’ausonica nave a’ disiati liti, sì che avanti che Febea, nel loro partimento cornuta, avesse i suoi corni rifatti eguali, essi pervennero all’isola che preme l’orgogliosa testa di Tifeo. E quivi, di rinfrescarsi bisognosi, là ove Anchise la lunga età finì, presero porto, e, onorevolemente ricevuti in casa d’una nobilissima donna chiamata Sisife, a’ mercatanti di stretto parentado congiunta, più giorni quivi si riposarono. Con la quale Sisife dimorando Biancifiore, e nella mente tornandole alcuna volta Florio e la dolente vita, la quale egli dovea sentire poi che saputo avesse la partita di lei, pietosamente piangea, e con tutto che la sua speranza fosse buona e ferma, non cessava però di dubitare, nè per quella potea in alcun modo porre freno alle sue lagrime. La qual cosa Sisife vedendo un giorno così le disse: Dimmi, Biancifiore, se gl’iddii ogni tuo disio t’adempiano, qual è la cagione del tuo pianto? Io ti priego, s’elli è licito ch’io la sappia, che tu non la mi celi, però che grandissima pietà, che di te sento nel cuore, mi muove a questo voler sapere: la qual cosa, se tu mi dirai, tale potrà essere che o conforto o utile consiglio vi ti porgerò -. A cui Biancifiore disse: Nobile donna, niuna cosa vi celerei che domandata mi fosse da voi,