Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/334

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Adunque - disse Diana - andiamo: le mie ire sono passate, e vera compassione de’ suoi mali porto nel petto; porgiamole il dimandato conforto -. A cui Venere disse: Io la veggo sopra le salate onde vinta da angosciosi pianti soavemente dormire, e esserne portata verso il mio monte, al quale luogo io spero che ’l suo disio ancora farò con letizia terminare, avvegna che sanza indugio essere non può per quello che per adietro hai operato -.

Sanza più parlare si partì il divino consiglio, e amendue le dee, lasciati i luoghi, con lieto aspetto nel sonno si mostrarono alla dormente giovane. E Diana, che in quello abito propio che portare solea alle cacce, inghirlandata delle fronde di Pallade, l’apparve, e così le disse: O sconsolata giovane, l’avermi ne’ sacrificii, renduti agli altri iddii per lo tuo scampo, dimenticata, giustamente verso di te mi fece turbare: per la quale turbazione, essendone io stata cagione, hai sostenute gravose avversità. Ma ora i tuoi prieghi hanno addolcita la mia ira, e divenuta sono verso di te pietosa: per la qual cosa ti prometto che la dimandata grazia infino alla disiderata ora ti sarà da me conceduta, nè niuno sarà ardito di levarti ciò che tu nel cuore hai proposto di guardare -. Ma Venere, che tutta nel cospetto di Biancifiore di focosa luce sfavillava, involte le nude carni in uno sottilissimo drappo porporino, e coronata dell’amate frondi di Febo, così le disse: Giovane, a me divota e fedelissima suggetta, lascia il lagrimare, e nelle presenti avversità e nelle future con iguale animo ti conforta. Tu hai co’ tuoi prieghi mosse a pietà le nostre menti, e spera che tu sarai da Florio ricercata: e in quella parte