Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/69

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Ella, piangendo, più volte con aguti ferri caduti per lo campo si volle ferire il tenero petto, ma, impedita dalle compagne, non potea. Poi si voltava agli aspri rubatori e dicea: Deh! crudeli cavalieri, i quali sanza alcuna pietà metteste l’agute lance per l’innocente corpo, deh!, ammendate il vostro fallo tornando pietosi: uccidete me, poi che voi avete morto colui che la maggior parte di me in sè portava! Fate che io sia del numero degli uccisi! Questa pietà sola usando vi farà meritar perdono di ciò che voi avete oggi non giustamente adoperato -. E dette queste parole, ritornava a baciare il sanguinoso viso; e di questo non si potea veder sazia, anzi l’avea già quasi tutto con le amare lagrime lavato, e piangendo forte sopr’esso si dimorava dolente.

Ma poi che il sole nascose i suoi raggi nelle oscure tenebre e le stelle cominciarono a mostrare la loro luce, il campo si cominciò con taciturnità a riposare, sì per l’affanno ricevuto il preterito giorno che richiedeva agli affannati membri riposo, sì per l’allegrezza della vittoria che molte menti avea nel vino sepellite. Solo l’angoscioso pianto di Giulia e delle sue compagne facea risonare la trista valle, e questo risonava nelle orecchie al vittorioso re. E egli, che ne’ tesi padiglioni si riposava, udendo queste voci, chiamò un nobile cavaliere il quale s’appellava Ascalion, e disseli: Deh, or di cui sono le misere voci che io odo, che non lasciano partire della nostra mente in alcuno modo la crudele uccisione fatta nel passato giorno? -. - Sire - disse Ascalion - io imagino che sia alcuna donna, la quale forse era moglie d’alcuno del morto popolo, e così mi pare avere inteso da’ compagni, e similmente la sua favella, la quale io