Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/195

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avere, e voi oggi di me vedovi rimarrete. Né vi concederà la fortuna di chiudere i miei occhi nella mia morte, né di riporre le mie ceneri ne’ cari vasi. Oggi della vostra nimica Biancifiore, da voi con tante insidie perseguitata, sarete diliberati, ma non sanza vostra tristizia, né potrete per me spandere lagrime, che per lei similemente non le spandiate. Un giorno, una ora, una morte vi ci torrà: e non ingiustamente, ché convenevole cosa è che chi non vuole il bene quietamente possedere, che tribolando sanza esso viva. Rimanete adunque in etterno dolore, e di tal peccato siano gl’iddii giusti vendicatori. O gloriosi iddii, non si parta del vostro cospetto inulta la iniquità del mio padre. O sommi governatori de’ cieli, i quali in tanti affanni avete le mie fiamme udite, aiutate la innocente giovane. Venga sopra me, il quale ho commessa l’offesa, la vostra indignazione. O Imineo, o Iuno, o Venere, i quali io l’altra notte, se io non errai, vidi per la lieta camera portanti i santi fuochi del novello matrimonio, riservatevi Biancifiore al buono agurio di quelli, e se alcuna infernale furia fu tra voi con quelli mescolata, o se alcun gufo sopra noi cantò, caggiano sopra me i tristi agurii. Io non curo della mia morte, però che io l’ho con ingegno cercata: sia solamente costei, che per me sanza colpa muore, aiutata da voi -.

Biancifiore, piena di paura e di vergogna e di dolore incomparabile, piangea, e i suoi occhi né più né meno faceano che fare suole il pregno aere, quando Febo nella fine del suo Leone dimora, che, porgendone acqua di più basso luogo, con più ampia gocciola bagna la terra: l’una lagrima non attendea l’