Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/26

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22 FILOCOLO

quello che a lui fornire non lasciasti; ma sì lungo cammino per quelli ho ad andare, che più tosto la forza mi mancherebbe che il tuo potere m’offendesse: e per questo la tua pace cerco e quella disidero; non la mi negare, io te ne priego per quello amore che già per Esmenia sentisti. E tu, o sommo Eolo, spietato padre di Cannace, tempera le tue ire, ingiustamente verso me levate. Apri gli occhi, e conosci ch’io non sono Enea, il gran nemico della santa Giunone: io sono un giovane che amo, sì come tu già amasti. Pensi tu forse per nuocermi avere da Giunone la seconda impromessa? Raffrena le tue ire, racchiudi lo spiacevole vento sotto la cavata pietra: io non sono Macareo, né mai in alcuna cosa t’offesi. Sostieni ch’io compia lo incominciato viaggio, e quello compiuto, quando nel disiato luogo sarò con la mia donna, quanto ti piace soffia: graziosa cosa mi sarà di quel luogo mai non partirmi. Allora mostrerai le tue forze, quando noioso non mi sarà il dimorare. Ma ora che con angoscia perdo tempo, mitiga la tua furia, e sostieni che ’l mio disio io il possa fornire, ché se tu non fossi, ben conosco che Nettunno priega di starsi in pace -. Poi diceva: Oimè, ove mi costrigne amore di perdere i prieghi? Alle sorde onde e a’ dissoluti soffiamenti, ne’ quali niuna fede, sì come in cosa sanza niuna stabilità, si truova! -.

Con tali parole più volte si dolea lo innamorato giovane sopra i salati liti, e da malinconia gravato tornava al suo ostiere. Ma essendo già Titan ricevuto nelle braccia di Castore e di Polluce, e la terra rivestita d’ornatissimi vestimenti, e ogni ramo nascoso dalle sue frondi, e gli uccelli, stati taciti nel noioso