Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/27

Da Wikisource.

LIBRO QUARTO 23

tempo, con dolci note riverberavano l’aere, e il cielo, che già ridendo a Filocolo il disiderato cammino promettea con ferma fede, avvenne che Filocolo una mattina, pieno di malinconia e tutto turbato nel viso, si levò dal notturno riposo. Il quale vedendolo, i compagni si maravigliarono molto per che più che l’altre fiate turbato stesse. Al quale Ascalion disse: Giovane, caccia da te ogni malinconia, ché il tempo si racconcia, per lo quale, sanza dubbio di più ricevere sì noioso accidente come già sostenemmo, ci sarà licito il camminare -. A cui Filocolo rispose: Maestro, certamente quello che dite, conosco, ma ciò alla presente malinconia non m’induce -. - E come - disse Ascalion - è nuovo accidente venuto per lo quale tu debbi dimorare turbato? -. - Certo - disse Filocolo - l’accidente della mia turbazione è questo, che nella passata notte io ho veduta la più nuova visione che mai alcuno vedesse, e in quella ho avuta gravissima noia nell’animo, veggendo le cose ch’io vedeva: per la qual cosa la turbazione, poi ch’io mi svegliai, ancora da me non è partita, ma sanza dubbio credo che meco non lungamente dimorerà -. Pregaronlo Ascalion e’ compagni che, cacciando da sé ogni malinconia, gli piacesse la veduta visione narrare loro, nella quale tanta afflizione sostenuta avea. A’ quali Filocolo con non mutato aspetto rispose che volentieri, e così cominciò a parlare:

- A me parea essere da tutti voi lasciato e dimorare sopra lo falernese monte, qui a questa città sopraposto, e sopra quello mi parea che un bellissimo prato fosse, rivestito d’erbe e di fiori dilettevoli assai a riguardare, e pareami di quello potere vedere