Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/336

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uno dell’altro s’innamorasse, e tanto ne amammo, che diverse avversità, anzi infinite, n’avvennero. Ma ultimamente il mio padre, credendo lei di vile nazione essere discesa, acciò che io per isposa non la prendessi, né mai avanti la vedessi, come serva la vendé a’ mercatanti, e fu portata in Alessandria, e a me dato a vedere ch’era morta. Ma io poi la verità sappiendo, con ingegni e con affanni e con infiniti pericoli seguendola la racquistai, e per mia sposa la mi congiunsi, e lei amo sopra tutte le cose del mondo. E certo io n’ho un piccolo figliuolo, al quale appena che il sesto mese sia compiuto, e è ’l suo nome Lelio; e però che del padre di Biancifiore valore oltre misura intesi, così il chiamai: ella e egli sono qui meco. E dicovi più, che la fortuna n’ha portati ad essere in casa di Quintilio e di Mennilio, fratelli carnali, secondo ch’io ho inteso, di Lelio; ma già non ne conoscono, né Biancifiore di loro conosce alcuno, né sa chi essi sieno, avvegna che con lei sia una romana, la quale con la madre fu presa e che sempre con essa è stata, il cui nome è Glorizia, la quale tutti li conosce, e a lei per mio comandamento il tien celato. Adunque quello per che io queste cose v’ho detto è che, prendendo il santo lavacro, dubito non mi convenga palesare, e palesandomi, costoro la vendetta della morte del loro fratello sopra me non prendano: e d’altra parte, ancora che io sanza palesarmi, potessi il santo lavacro pigliare, sì mi saria la pace di tanti e tali parenti carissima, né sanza essa volentieri mi partirei, se per alcun modo credessi poterla avere. E avvegna che io nella morte del loro fratello niente colpassi e il mio padre disavedutamente ciò facesse, sì