Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/371

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Queste cose faccendo costoro, sopravenne il chiaro giorno. Per la qual cosa essi, il corpo e l’ossa ricolte sotto sofficiente custodia lasciate, cavalcarono avanti al loro cammino, e poco distanti, in brieve al dimandato tempio pervennero, nel quale essi entrarono e offersero grandissimi doni, e porsero pietose orazioni, e voltarono i passi loro. E venuti al luogo ove lasciato aveano il corpo di Lelio e le vermiglie reliquie, quelle prese, sanza ristare in alcuna parte, a Marmorina ne le portarono: e quivi con solennità tratta della bella sepoltura Giulia, e acconciatala in una cassa, con l’altro corpo e con le vermiglie ossa a Roma ne le portarono, e quivi fatte grandissime e belle ossequie, con li loro padri le sepellirono. Le quali cose fatte, lasciata la non profittevole malinconia, lietamente veduti e ricevuti, a far festa co’ parenti loro si dierono.

Stato Florio in Roma più giorni in allegrezza e in festa co’ suoi, dalla cara madre un singulare messo gli venne, narrante il re suo padre gravissima infermità sostenere a Corduba, per la qual cosa egli dovesse sanza indugio tornare. Le quali cose udite Florio, egli e Mennilio con pochi compagni, lasciando Biancifiore con Clelia, si misero in cammino, e con istudioso passo dopo molti giorni pervennero a Corduba, vivendo ancora il re, ma molto alla morte vicino: al quale essi entrarono e con pietoso viso di suo essere domandarono. I quali quando il re vide, contento molto disse: Omai, o signor mio Domeneddio, prendi l’anima mia quando ti piace -. Poi a Florio rivolto così gli parlò: Caro figliuolo, da me sopra tutte le cose amato, io non posso più vivere: la lunga età e la grave infermità mi mostrano