Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/48

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- Molto m’è duro a pensare, graziosa donna, ciò che voi dite - disse il giovane, - con ciò sia cosa che chi il suo disio ha d’una cosa disiderata avuto, molto si debbia più nell’animo contentare, che chi disidera e non può il suo disio adempiere. Appresso, niuna cosa è più leggiere a perdere che quella la quale speranza avanti più non promette di rendere. Ivi dee essere lo smisurato dolore, ove iguale volere e ’l non potere quello recare ad effetto impedisce. Quivi hanno luogo i ramaricamenti, quivi i pensieri e l’affanno, però che se le volontà non fossero iguali, per forza mancherebbero i disii: ma quando gli animi si veggono davanti le disiderate cose, e a quelle pervenire non possono, allora s’accendono e dolgonsi più che se da loro i loro voleri stessero lontani. E chi tormenta Tantalo in inferno se non le pome e l’acque, che quanto più alla bocca gli si avvicinano tanto più fuggendosi poi multiplicano la sua fame? Veramente io credo che più dolore sente chi spera cosa possibile ad avere, né a quella per avversarii impedimenti resistenti pervenire puote, che chi piange cosa perduta e inrecuperabile -.

Disse allora la donna: Assai seguita bene la vostra risposta, là ove di lungo dolore fosse vostra dimanda stata; ben che a cotesto ancora si potrebbe dire, così esser possibile per dimenticanza il dolore breviarsi nelle cose disiderate, ove continuo impedimento si vede da non poterle adempiere, come nelle perdute, ove speranza non mostra di doverle mai riavere. Ma noi ragioniamo quale più si dolea, quando dolendo le vedeste: però, seguendo il proposto caso, giudicheremo che maggior dolore sentiva quella che il suo