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190 | IL FILOSTRATO |
LXI.
Per che gli piacque di mostrare in versi
Chi ne fosse cagione: e sospirando,
Quand’era assai stanco di dolersi,
Alcuna sosta quasi al dolor dando,
Mentre aspettava nelli tempi avversi,
Con bassa voce sen giva cantando,
E ricreando l’anima conquisa
Dal soperchio d’amore, in cotal guisa:
LXII.
La dolce vista e ’l bel guardo soave
De’ più begli occhi che si vider mai,
Ch’i’ ho perduti, fan parer sì grave
La vita mia, ch’io vo traendo guai;
Ed a tal punto già condotto m’have,
Che invece di sospir leggiadri e gai
Ch’aver solea, disii porto di morte
Per la partenza, sì me ne duol forte.
LXIII.
Oimè Amor, perchè nel primo passo
Non mi feristi sì ch’io fossi morto?
Perchè non dipartisti da me lasso
Lo spirito angoscioso che io porto?
Perciocchè d’alto mi veggio ora in basso.
Non è amore al mio dolor conforto
Fuor che ’l morir, trovandomi partuto
Da que’ begli occhi ov’io t’ho già veduto.