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216 | IL FILOSTRATO |
XXVIII.
Questi la tien, dolente la mia vita,
Siccome aperto ancor potrai vedere;
Questi impedisce sol la sua reddita;
Se ciò non fosse, ben v’era il potere
Di ritornar, nè l’avrebbe impedita
Il vecchio padre nè altro calere;
Laond’io sono ingannato, credendo,
Ed ischernito invano lei attendendo.
XXIX.
Oimè Griseida, qual sottile ingegno,
Qual piacer nuovo, qual vaga bellezza,
Qual cruccio verso me, qual giusto sdegno,
Qual fallo mio, o qual fiera stranezza,
L’animo tuo altiero, ad altro segno
Han potuto recare? oimè fermezza,
Oimè promessa, oimè fede e leanza,
Chi v’ha gittate dalla mia amanza?
XXX.
Oimè, perchè andar mai ti lasciai?
Perchè credetti al tuo consiglio rio?
Perchè con meco non te ne menai,
Com’io aveva, lasso, nel disio?
Perchè i patti fatti non guastai,
Come nel cuor mi venne, allora ch’io
Ti vidi render? Tu non disleale
Saresti e falsa, nè io tristo aguale.