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PARTE SETTIMA | 229 |
LXVII.
L’udir talvolta nominare il loco
Dove dimori, o talvolta vedere
Chi di là venga, mi raccende il fuoco
Nel cor mancato per troppo dolere,
E par ch’io senta alcun nascoso giuoco
Nell’anima legata dal piacere,
E meco dico: quindi veniss’io
Onde quel viene, o dolce mio disio!
LXVIII.
Ma tu che fai tra’ cavalieri armati,
Tra gli uomin bellicosi e tra’ romori,
Sotto le tende in mezzo degli aguati,
Sovente spaventata da’ furori
Del suon dell’armi, e delle tempestati
Marine, a cui vicina ora dimori?
Non t’è el, donna mia, gravosa noia,
Ch’esser solei sì dilicata in Troia?
LXIX.
I’ ho di te nel ver compassïone,
Più ch’io non ho di me siccome deggio.
Ritorna adunque, e la tua promissione
Intera fa’ prima ch’io caggia in peggio:
Io ti perdono ogni mia offensione
Per dimoranza fatta, e non ne chieggio
Ammenda, fuor vedere il tuo bel viso,
Nel quale è sol tutto il mio paradiso.