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228 | IL FILOSTRATO |
LXIV.
Io guardo i monti che d’intorno stanno,
Ed il luogo ch’a me ti tien nascosa,
E sospirando dico: coloro hanno,
Senza sentirla, la vista amorosa
Degli occhi vaghi per la quale affanno
Lontan da essi in vita assai noiosa:
Or foss’io un di loro, o sopra un d’essi
Or dimorass’io sì ch’io la vedessi!
LXV.
Io guardo l’onde discendenti al mare,
Alle qual’ora dimori vicina,
E dico: quelle dopo alquanto andare
Quivi verranno, dove la divina
Luce degli occhi miei n’è gita a stare,
E da lei fien vedute: oimè tapina
La vita mia! perchè in loco di quelle
Andar non posso siccome fann’elle?
LXVI.
Se ’l sol discende, con invidia il miro,
Perchè mi par che vago del mio bene,
Cioè di te tirato dal disiro,
Più dell’usato tosto se ne vene
A rivederti, e dopo alcun sospiro,
Mi viene in odio, e crescon le mie pene,
Ond’io temendo ch’el non mi ti tolga,
La notte prego che tosto giù volga.