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46 | IL FILOSTRATO |
XLIV.
Sol una volta ha nel mondo ventura
Qualunque vive, se la sa pigliare;
Chi lei vegnente lascia, sua sciagura
Pianga da sè senz’altrui biasimare:
La tua vaga e bellissima figura
La t’ha trovata, or sappila adoprare:
Lascia me pianger, che ’n mal’ora nacqui,
Ch’a Dio, e al mondo, ed a fortuna spiacqui.
XLV.
Tentimi tu, o parli daddovero,
Griseida disse, o se’ del senno uscito?
Chi deve aver di me piacere intero
Se già non divenisse mio marito?
Ma dimmi, chi è questi, è istraniero
O cittadin, ch’è per me sì smarrito;
Dimmel se vuoi, se pur dir me lo dei,
E non chiamar senza cagion gli omei.
XLVI.
Pandaro disse: egli è pur cittadino,
Nè de’ minori, e mio amico molto;
Del qual, per forza forse di destino,
Tratto ho del petto ciò ch’io t’ho disciolto;
E’ vive in pianto misero e meschino,
Sì lo splendor l’accende del tuo volto:
E perchè sappi chi cotanto t’ama,
Troilo è quei che cotanto ti brama.